Una volta conclusasi la prima guerra mondiale la gente aveva voglia di lasciarsi alle spalle quel periodo terribile e, conseguentemente all’espansione industriale, ciò si tradusse nella nascita dei cosiddetti anni ruggenti. Il desiderio di divertirsi favorì la nascita negli anni Venti di una grande rivoluzione negli ambiti del cinema, della letteratura e della musica. In America in particolare si viveva quella che a posteriori fu detta Età del Jazz, che dal dopo guerra si espanse fino al 1928 quando poi giunse la Grande Depressione. Il jazz suonato a ritmi rapidi in 4/4 veniva ballato con un nuovo tipo di ballo, il Charleston.
L’inizio della sua popolarità è fatta risalire al 1923, quando andò in scena a Broadway lo spettacolo Runnin ‘Wild, nonostante già prima fosse ballato in molti locali notturni di New York. All’interno del musical, uno dei primi di successo con attori afroamericani, veniva ballata una canzone del compositore James P. Johnson, chiamata appunto Charleston.
Attraverso il frenetico ballo molti giovani volevano distaccarsi dagli usi e modi della generazione dei genitori, danzando lasciandosi andare, muovendo libere le braccia e sollevando i talloni. Da tali movimenti prende origine il termine flappers, che indicava le ragazze divenute da poco donne dei Paesi anglosassoni degli anni Venti, facendo riferimento alla figura dell’uccellino che sbattendo le ali impara a volare (dall’inglese to flap).
Il ballo, praticabile sia in singolo che in coppia, si caratterizza come detto da un ritmo veloce, scalciando le gambe verso l’esterno mantenendo le punte dei piedi verso l’interno, scatenandosi poi in salti e contorsioni varie accompagnate da musica jazz e da un nuovo strumento a percussione unito alla grancassa. Questo prese coerentemente il nome di charleston e consisteva in due piatti di metallo posti l’uno sotto l’altro.
Il ballo arrivò anche in Europa, grazie alla cantante e danzatrice americana Joséphine Baker, che nel 1925 lo introdusse all’interno del suo tour parigino Le Revenue Negre. Iconica la sua foto in cui si esibiva nel ballo con un gonnellino composto da sedici banane, un costume creato appositamente per lei dal professionista austriaco Paul Seltenhammer.
Sempre in quegli anni fece il giro d’Europa la popolare canzone Yes sir! That’s my baby!, scritta da Walter Donaldson e cantata da Gus Kahn, il cui disco era accompagnato da illustrazioni dei passi e delle figure di ballo. La canzone indignò il Ministero della Guerra italiano di allora, che bandì il ballo agli ufficiali non ritenendo certi movimenti consoni alla divisa che indossavano.
In Inghilterra in particolare il ballo ebbe un successo straordinario, soprattutto grazie alla rivista Dancing Times che organizzò eventi detti tè danzanti nei quali venivano insegnati i passi ai maestri inglesi. La canzone più popolare era cantata e ballata dai fratelli Fred e Adele Astaire, ovvero I’d rather Charleston.
Ci fu anche chi protestò verso il ballo giudicandolo moralmente scandaloso, sottolineando anche il rischio di infortuni che poteva incorrere chi si dedicasse a una danza così movimentata. Tutto ciò non riuscì però a frenare la popolarità del Charleston, l’unico effetto fu quello di far munire di protezioni (ad esempio ginocchiere) ballerini e danzatrici professionisti.
Come accade a ogni genere e ballo, il tempo ne mutò la purezza a causa delle tante influenze che accompagnarono la sua espansione. Il ritmo sincopato e le movenze scatenate si attenuarono a favore di un’andatura meno frenetica, più morbida, divenendo prima quel che è stato definito Flat Charleston, fino a snaturarsi in un ballo differente. Il ballerino swing Ryan Francois affermò proprio che dagli anni Trenta in poi il Charleston ballato ha cessato di esistere, perché si era ormai evoluto nel successivo Lindy Hop.
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