Nei primi anni del decennio, la moda seguiva ancora i dettami di quello precedente. La moglie dell’allora presidente degli Stati Uniti, Jacqueline Kennedy, fu l’ambasciatrice di quello stile e fu presa a esempio da una larga parte della popolazione femminile. Vestiva con tailleur e gonne su misura, abiti con giacche corte squadrate con bottoni oversize e tacchi a spillo. Un’icona mondiale che nel corso degli anni ’60 venne però soppiantata da altri modelli.
Nel 1963 esplose definitivamente la moda del bikini. Inventato circa quindici anni prima, ha dovuto attendere per essere accettato a livello globale. A dare un gran contributo in quest’ottica fu il film Beach Party, che diede la spinta decisiva per rendere alla moda il due pezzi da spiaggia.
Erano gli anni dello Youthquake, un movimento che considerava la cultura giovanile come fonte d’ispirazione. Fu per effetto di questa corrente che il prêt-à-porter aumentò la sua diffusione, così che l’alta moda non rimanesse per una cerchia ristretta benestante. Nel 1964 irruppe un altro capo d’abbigliamento rivoluzionario nel percorso di emancipazione femminile, ovvero la minigonna. La stilista inglese Mary Quant introdusse l’indumento nelle passerelle e, con la commercializzazione del nylon che trasformò la calze in collant, le gambe delle donne furono in risalto come mai accaduto in precedenza. Con le gonne che si accorciarono aumentò di pari passo la popolarità degli stivali, in particolare con il modello go-go-boots, alti fino a metà polpaccio.
Un secondo fenomeno di quel decennio, più ristretto geograficamente ma non meno importante, fu quello della Swinging London, un’insieme di tendenze culturali che trovarono sviluppo nell’area londinese. La nascita del termine fu merito del settimanale di informazione americano TIME, il quale lo coniò dal verbo to swing traducibile in oscillare, nel senso di passare da una moda all’altra. Se nel campo musicale ciò si tradusse ad esempio nella nascita dei Beatles, in quello dello stile non possiamo non citare la modella Lesley Hornby, in arte Twiggy, ovvero “grissino” vista la sua magrezza; era una parrucchiera sedicenne che fu scoperta da Mary Quant, la quale la rese la sua ambasciatrice. Divenne una grande icona degli anni ’60, popolarissima in particolare tra le adolescenti. Dal corpo acerbo, capello a caschetto e viso infantile, sradicò l’immagine della donna provocante del decennio precedente. Nell’abbigliamento le linee squadrate nascosero le curve invece che esaltarle come avveniva fino ad allora, mentre i tessuti si accorciarono e i tacchi divennero meno alti. Il look androgino della giovane modella mostrava i primi segni dell’imminente rivoluzione femminista.
Nel 1965 Yves Saint Laurent ideò l’abito a trapezio mostrando al mondo la collezione Mondrian. Prendendo spunto dai dipinti dell’omonimo pittore olandese, rese gli abiti eleganti e semplici al tempo stesso, con linee verticali e orizzontali che si intrecciano esibendo i colori primari.
Un altro volto rappresentativo di quegli anni fu quello di Audry Hepburn. Fu per causa sua che le teenager abituate a gonne e tacchi alti iniziassero a indossare pantaloni capri, jeans a tubo e ballerine.
A venire sempre più trascurati furono invece i cappelli. Dal loro successo degli anni Cinquanta subirono un forte calo nella diffusione, accettati solo se di piccole dimensioni, tipo cloche o pillbox.
Verso la fine del decennio non possiamo infine non considerare il l’influenza del movimento hippie. Caratterizzato dalla totale libertà d’espressione, suggestionò la moda con colori psichedelici e ampio uso di collane e bracciali. Le correnti andavano prevalentemente in due direzioni: quella della stravaganza non industrializzata indossando tessuti poveri multicolore, e quella retrò, nel senso di preferire vestiario dei decenni passati, anche di seconda mano.
A mezzo secolo dalla fine di quel decennio, rivedendo tutte le novità che ha introdotto non possiamo che riconoscerne il valore rivoluzionario, un laboratorio di moda e non solo di cui ci portiamo dietro gli effetti ancora oggi.
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